La sicurezza di un’equipe di persone che operano su una stessa macchina

La sicurezza di un’equipe di persone che operano su una stessa macchina

tratta da puntosicuro.it

Il datore di lavoro deve fornire una informazione e formazione che garantisca il coordinamento dell’equipe ed eviti che qualcuno assuma delle decisioni e prenda delle iniziative che possano compromettere la sicurezza di altre persone. Di G.Porreca.

Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 2569 del 17 gennaio 2013 (u. p. 29 novembre 2012) –  Pres. Brusco – Est. Dell’Utri – P.M. Scardaccione – Ric. omissis.

Commento a cura di G. Porreca.

Viene presa in considerazione in questa sentenza della Corte di Cassazione la sicurezza sul lavoro di un equipe di persone che operano presso una stessa macchina o presso uno stesso impianto e gli obblighi di organizzazione e di coordinamento posti in tal caso a carico del datore di lavoro. Questi, ha infatti sostenuto la suprema Corte, deve fornire a queste persone una informazione e una formazione finalizzate a garantire il coordinamento fra le stesse e ad evitare che qualcuna di esse assuma delle decisioni e prenda delle iniziative che possano compromettere la sicurezza delle altre. Deve altresì adottare delle precise misure di sicurezza dirette specificatamente a impedire che gli eventuali difetti di coordinamento o di informazione, o che gli errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da parte dei componenti dell’equipe, possano determinare l’esecuzione di operazioni pericolose.

Il caso e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha  riconosciuto il datore di lavoro e amministratore unico di una società colpevole del reato di cui all’articolo 590 c.p., comma 3, in relazione all’articolo 583 c.p., comma 1 n. 2, per aver cagionato presso una sua unità produttiva ad un lavoratore dipendente della società stessa con contratto di lavoro a progetto, lesioni personali gravi consistite nella “amputazione falange distale primo dito della mano sinistra” in conseguenza delle quali lo stesso lavoratore ha riportato un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, e ciò per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al D. Lgs. n. 626/1994, articolo 4, comma 2, e articolo 35 in quanto:
a) non ha valutato i rischi legati alla realizzazione, costruzione, messa in funzione, montaggio e smontaggio, manutenzione e riparazione, regolazione e registrazione delle macchine ideate e progettate nello stabilimento, per la messa in produzione di particolari metallici, per conto terzi su commessa, e non ha analizzato i pericoli legati all’utilizzo delle attrezzature di lavoro e delle macchine in relazione alle lavorazioni eseguite e il conseguente programma ritenuto opportuno per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
b) ha  omesso di attuare misure tecniche atte a ridurre al minimo i rischi connessi alle fasi di lavorazione relative alla realizzazione, costruzione, messa a punto e registrazione delle macchine, ideate e progettate nello stabilimento della società, in quanto veniva rilevata l’assenza di procedure legate alla realizzazione, messa a punto e registrazione delle macchine per piegatura  di alcuni profili metallici.

L’infortunio al lavoratore era accaduto mentre lo stesso era intento a regolare un “riferimento” per la piegatura della lamiera con le mani all’interno degli organi di movimento del macchinario allorquando un collega ha avviata la macchina che, in automatico, ha messo in moto tutte le sue parti, ivi compresa la zona in cui stava operando il lavoratore. Le lamine del “riferimento” in cui lo stesso aveva inserito le mani gli hanno colpito il pollice, procurandogli le lesioni sopraindicate con l’aggravante che a seguito del fatto ha riportato l’indebolimento permanente di un organo interessante la funzione prensile, un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e con l’ulteriore aggravante del fatto commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Il Tribunale ha quindi inflitto all’imputato la pena di euro 1.000,00 di multa (pena sospesa), oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, nei cui confronti ha liquidato la somma di euro 3.000,00 a titolo di provvisionale. Successivamente la Corte d’appello ha rideterminato la pena, irrogando all’imputato la sanzione della multa nella minore misura di euro 200,00 confermando nel resto la sentenza impugnata.

Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso la sentenza d’appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza sostenendo l’inesistenza della violazione posta a base del capo di imputazione. Secondo il ricorrente, infatti, nel caso in esame di specie gli specifici rischi connessi all’esecuzione della lavorazione in corso erano stati adeguatamente presi in conto e ricondotti entro la soglia del rischio consentito mediante la scelta corretta del personale esecutivo, la perfetta visibilità dal pulpito della zona di lavorazione, l’assoluta linearità del compito spettante al manovratore della macchina e le istruzioni verbali più volte fornite dal datore di lavoro e dal responsabile della produzione al fine di raccomandare a ciascun lavoratore il dovere di agire con la massima avvertenza e prudenza. L’evento lesivo, secondo il ricorrente, doveva viceversa ritenersi conseguenza della condotta assolutamente anormale seguita dal collega del lavoratore infortunato il quale si era sottratto all’adempimento della regola precauzionale allo stesso imposta di azionare la macchina dallo stesso governata soltanto dopo che il collega si fosse allontanato dalla macchina.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e lo ha pertanto rigettato. La suprema Corte ha fatto presente che il giudice d’appello aveva espressamente rilevato come nel documento relativo alla valutazione dei rischi connessi all’azionamento e all’arresto incontrollato e/o accidentale della piegatrice non fosse tenuto nel debito conto della circostanza che la fase della messa a punto della macchina doveva essere effettuata da una squadra di almeno due operai, con la conseguente creazione di un doppio fattore di aumento del rischio, costituito, da un lato, dalla circostanza che il prototipo non poteva essere ancora munito di tutti i dispositivi di sicurezza propri del macchinario finito e, dall’altro, che gli addetti al dispositivo sarebbero dovuti intervenire sul macchinario in coppia, ma con compiti distinti.

La Corte territoriale aveva quindi giustamente “sottolineato come si profilasse, nell’occasione, l’insorgenza di un complesso di pericoli caratteristici, segnatamente legati ai sempre possibili difetti di coordinamento o di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da parte dei membri della squadra, necessariamente destinata a lavorare in equipe” e aveva messo in evidenza che era “propriamente mancata l’adozione di precise misure di sicurezza, specificamente dirette a impedire che i menzionati difetti di coordinamento o di informazione, o che gli errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da parte dei componenti dell’equipe, determinassero l’avvio del macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, che richiedevano necessariamente l’inserimento delle mani della zona pericolosa”. La Sez. IV ha quindi precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la corte territoriale aveva specificamente indicato, in termini positivi, come l’infortunio in esame avrebbe potuto essere evitato, qualora il datore di lavoro, conscio dei rischi prevedibili ex ante connessi alla fase di messa a punto del prototipo, avesse dato precise disposizioni agli operai in ordine alle procedure di sicurezza da adottare, sì da impedire l’avvio del macchinario da parte dell’addetto al pulpito di comando, in assenza di un chiaro segnale di consenso da parte del collega, il quale era obbligato a operare con le mani all’interno della zona pericolosa, cui doveva necessariamente accedere per regolare il riferimento e/o a rimanere nei pressi della stessa durante le prove di curvatura per reggere il pezzo  operazione, quest’ultima, eseguita nella prassi con le mani anziché con le pinze, che avrebbero garantito una maggiore distanza dalla zona pericolosa.

La Corte suprema ha quindi concluso che il giudice d’appello aveva correttamente individuata una carenza “delle misure di sicurezza dirette a impedire che i difetti di coordinamento o d’informazione, gli errori di comprensione o quelli dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da parte dei componenti dell’equipe, determinassero l’avvio del macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, sottolineando altresì come lo stesso imputato fosse perfettamente consapevole dei rischi connessi alla fase della messa a punto, senza che ciò lo spingesse all’adozione di misure cautelari ulteriori e diverse dalle generiche raccomandazioni alla prudenza inammissibilmente impartite per via orale; raccomandazioni per loro natura inidonee a consentire di ritenere assolti gli obblighi connessi alla posizione di garanzia rivestita dall’imputato e funzionali alla tutela dell’incolumità dei lavoratori nell’ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

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Alessandro Pratelli

Perito aeronautico, calsse '72. Lavora come redattore tecnico dal 1995 poi fonda AP Publishing. Appassionato di Direttive e norme tecniche. La frase che preferisce? "Se non alzi mai gli occhi, ti sembrerà di essere nel punto più in alto".