Sentenza per omicidio colposo da ATEX

Sentenza per omicidio colposo da ATEX

tratta da studioFonzar’s blog

CORTE DI CASSAZIONE, IV Sez. pen. – Sentenza 27 settembre 2010, n. 34771

Violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro
Un operaio impegnato nel lavaggio di una cisterna di un autoarticolato all’interno del quale vi erano residui di resina, era stato investito da una violenta deflagrazione che ne determinava l’immediato decesso ancor prima della rovinosa caduta in terra

Fatto e diritto
1. Con sentenza del 1o ottobre 2007 il Tribunale di L., sez. dist. di C., condannava O.R., in qualità legale rapp.te della “T.W.C.”, per il delitto di omicidio colposo in danno dell’operaio F.C., per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (acc. in (OMISSIS)). Osservava il Tribunale che dalla istruzione dibattimentale svolta, la dinamica dell’incidente poteva essere ricostruita nel modo che segue:
* in data (OMISSIS) il F. era al lavoro presso la citata società dedita al lavaggio interno di autocisterne;
* in particolare al momento del sinistro era impegnato nel lavaggio della cisterna di un autoarticolato all’interno della quale vi erano residui di resina da poco scaricati dall’autista in altra azienda;
* il tentativo di sciogliere i grumi di resina con spruzzi di acqua calda (con conseguente aumento della temperatura all’interno alla cisterna), condotta questa contraria ai protocolli aziendali che prevedevano l’uso di acqua fredda, erano falliti;
* pertanto aveva utilizzato un solvente spruzzato dal boccaporto superiore della cisterna che poi era stata richiuso;
* aprendo la valvola di scarico aveva constatato che i grumi di resina si stavano liquefacendo;
* risalito sulla cisterna per effettuare una seconda erogazione di solvente, era stato investito da una violenta deflagrazione che ne determinava l’immediato decesso ancor prima della rovinosa caduta in terra.
Osservava ancora il Tribunale, che perché si determini un’esplosione, è necessaria la concomitante presenza dei seguenti tre fattori: un combustibile (nel caso di specie individuato nel solvente a base di toluene utilizzato per il lavaggio); l’ossigeno (costituito dall’aria); un innesco (costituito dall’accumulo di cariche elettrostatiche, cioè da una scintilla determinata dal contatto che una goccia d’acqua, dotata di carica elettrostatica, aveva avuto attraversando la nube di vapori di solvente aventi carica opposta e presenti all’interno della cisterna).
Tale reazione a catena, e la conseguente esplosione, sarebbe stata evitata se all’interno della cisterna non vi fosse stato ossigeno (cosa possibile utilizzando la tecnica di “inertizzazione con azoto”); inoltre, se fosse stato utilizzato un prodotto, presente sul mercato, denominato “D.”, che era idoneo a raffreddare le parti gassose.
Ne deduceva il Tribunale che la responsabilità dell’imputato nel fatto emergeva:
* dall’omesso utilizzo degli accorgimenti sopra indicati, da impiegare nei lavaggi di cisterne contenenti resine;
* dal non avere impedito al F. di utilizzare per il lavaggio acqua calda, circostanza questa imputabile all’O., il quale non aveva fornito al suo operaio un’adeguata formazione ed informazione sui rischi specifici dell’utilizzo del solvente “K.” dalla stessa ditta produttrice indicato come soggetto a rischio esplosioni. Inoltre, la condotta della vittima non veniva ritenuta abnorme e tale quindi da recidere il legame causale tra le omissioni e l’evento.
All’imputato veniva irrogata la pena di mesi 9 di reclusione, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, pena sospesa; veniva inoltre condannato al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, liquidando in loro favore una provvisionale immediatamente esecutiva.
2. Con sentenza del 14 maggio 2009 la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia di condanna ma, in accoglimento di motivi di appello subordinati, riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti, riduceva la pena a mesi 4 di reclusione. Osservava la Corte che:
* dalla sentenza della Corte costituzionale n. 312/1996, emanata in relazione a dubbi di
costituzionalità del D.Lgs. n. 277/1991, art. 41, comma 1, poteva evincersi il principio generale per il quale un imprenditore, al fine di salvaguardare l’integrità fisica dei propri lavoratori, è tenuto ad adottare quelle misura le quali sono generalmente praticate ed accolte nello standard di quel settore. Pertanto non poteva essere addebitato all’O. l’omessa adozione di misure antiesplosive, non previste e non applicate nel settore;
* gravante sull’imputato era, invece, l’addebito di colpa di avere omesso una adeguata formazione ed informazione del F. circa il rischio di esplosioni connesso all’utilizzo del solvente. Tale dovere di informazione non era soddisfatto dalle istruzioni del prodotto “K.”, tenuto conto che le avvertenze del pericolo erano del tutto generiche e non imponevano divieti o prescrizioni; ininfluente, inoltre era la partecipazioni a corsi da parte della vittima e delle riunioni a cui aveva partecipato con delegati del produttore del solvente, considerato che tali incontri non avevano portato alla elaborazione di alcuna regola cautelare antinfortunistica. Di ciò vi era riscontro nel fatto che nel documento di valutazione dei rischi aziendali non era preso in considerazione lo specifico rischio connesso all’utilizzo del solvente;
* il comportamento della vittima, di avere utilizzato prima dell’erogazione del solvente, acqua calda invece che fredda (con aumento della temperatura nella cisterna), come previsto dalle istruzioni, non costituiva comportamento abnorme, da solo idoneo a provocare l’evento, in quanto tale possibilità era prevedibile, proprio perché l’operaio non aveva avuto alcuna informazione sui rischi connessi al mancato rispetto del protocollo operativo di lavaggio, che peraltro non prevedeva di distinguere preventivamente le cisterna e le conseguenti modalità operative, a secondo dei prodotti che all’interno erano stati trasportati.
Sulla base di tali valutazione e dell’unico residuo di colpa riconosciuto a carico del prevenuto, la Corte di merito confermava la pronuncia di condanna, riducendo la pena.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermata omissione di adeguata formazione ed informazione del F. circa i rischi di esplosione. Invero la “scheda sicurezza” del prodotto riportava il rischio di infiammabilità ed esplosione. La presenza di tale rischio aveva determinato il datore di lavoro a fornire istruzioni lavorative atte a limitare tale rischio, ed in particolare che il lavaggio dovesse essere effettuato successivamente all’immissione del solvente “per almeno 10 minuti con acqua fredda”. Tale modalità operativa non poteva avere alcuna ragionevole spiegazione se non nell’evitare il rischio di innesco attraverso il contatto tra solvente ed acqua avente temperatura elevata. Ne conseguiva da tutto ciò che il lavoratore era stato messo al corrente del rischio specifico di esplosione in caso di utilizzo del prodotto e sostanze che determinavano un innalzamento della temperatura.
A ciò andava aggiunto che il F. aveva partecipato alla messa a punto della procedura di lavorazione ed a riunioni organizzative con il produttore del solvente e pertanto era pienamente consapevole dei rischi del lavaggio con il solvente Kemicar. Pertanto l’obbligo di formazione ed informazione era stato assolto, sebbene non con formule sacramentali meramente formali; salvo a volere pretendere che un dipendente sia trasformato in un qualificato esperto di chimica industriale.
4. Il ricorso è infondato.
4.1. Va premesso che il debito di sicurezza nei confronti del lavoratore a cui è tenuto il datore, prevede tra l’altro l’obbligo di informare i dipendenti dei rischi per la sicurezza e la salute in relazione all’attività svolta nell’impresa (D.Lgs. n. 626/1994, art. 21, vigente all’epoca dei fatti) e di adeguata formazione in materia di sicurezza (art. 22).
Nel caso di specie, l’inadempimento di tali obblighi è stato ritenuto dalla Corte distrettuale integrare il profilo di colpa a carico dell’imputato, che ha portato alla conferma della condanna.
Nei motivi di ricorso la difesa lamenta che il giudice di merito non ha adeguatamente tenuto conto che alla vittima era stata data adeguata formazione ed informazione.
In particolare:
a) la “scheda sicurezza” del solvente della “K.” riportava il rischio di infiammabilità e di accumulo di cariche elettrostatiche;
b) nelle istruzioni della “T.W.C.”, indicanti ai dipendenti i metodi di lavaggio, alla lett. d) era previsto esplicitamente l’uso di acqua fredda (per 10 minuti);
c) il F. aveva partecipato alla messa a punto della procedura di lavorazione ed a riunioni organizzative con il produttore del solvente e pertanto doveva essere pienamente consapevole dei rischi del lavaggio con il solvente K.
Ritiene la Corte che la censura è infondata.
Invero la difesa dell’imputato prospetta che per l’assolvimento degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 626/1994, artt. 21 e 22, sia sufficiente la “ragnatela” di disposizioni previste in una pluralità di documenti ed alcuni colloqui (di cui è ignoto il contenuto), avuti dal F. con personale della ditta fornitrice del solvente.
In realtà, perché sia assolto l’obbligo di sicurezza previsto nelle citate norme è necessario che il lavoratore venga informato dei rischi specifici dell’utilizzo del prodotto. Tale specificità non deve arrestarsi alla esplicitazione di una mero divieto (es. utilizzare acqua fredda e non calda), ma deve indicare le conseguenze per la sicurezza e la salute che determinate modalità di lavoro possono comportare (es. l’uso di acqua calda aumenta il rischio di esplosività del prodotto).
Nel caso di specie tale informazione specifica non è stata data ai lavoratori addetti al lavaggio delle autocisterne e che utilizzavano i solventi “K.”, né risulta essere stati destinatari di una specifica formazione in tema di sicurezza.
Peraltro di tali circostanze vi è un riscontro oggettivo nel fatto che nel documento aziendale di valutazione dei rischi (obbligatorio ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. cit.), i pericolo di esplosioni conseguente all’uso del solvente non era preso in considerazione.
E’ ragionevole pertanto la deduzione che ne ha tratto il giudice di merito: se il rischio non era stato valutato e preso in considerazione dall’azienda, era logico ritenere che i lavoratori sul punto non avessero ricevuto alcuna specifica informazione e formazione.
4.2. Dal punto di vista causale, non può peraltro dirsi che il nesso della negligente condotta omissiva dell’O. sia escluso dalla condotta disattenta della vittima, la quale aveva effettuato il lavaggio con acqua calda e non fredda, in violazione di una esplicita direttiva.
Invero, questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (“ex plurimis”, Cass. 4, n. 21587/2007, ric. P., rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, la vittima ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la postazione di lavaggio cisterne; inoltre, la circostanza dell’utilizzo dell’acqua calda (sul cui rischio specifico, come detto, non era stato edotto), non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento, condotta connotata, come già detto, da colpa, tenuto conto che le cautele omesse erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico (esplosione) che poi concretamente si è materializzato nell’infortunio in danno del F.
All’infondatezza del ricorso consegue, a norma dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili che liquida come da dispositivo.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio che liquida in complessivi euro 5.000,00 per quelle difese dall’Avv. A. ed euro 4.000,00 per quelle difese dall’Avv. V., oltre accessori come per legge.

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Alessandro Pratelli

Perito aeronautico, calsse '72. Lavora come redattore tecnico dal 1995 poi fonda AP Publishing. Appassionato di Direttive e norme tecniche. La frase che preferisce? "Se non alzi mai gli occhi, ti sembrerà di essere nel punto più in alto".